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“Divisione temporale e spaziale”: perché l’epilogo di Israele alla moschea di al-Aqsa fallirà

4:03 - May 04, 2022
Notizie ID: 3487545
Iqna - Storicamente, l’Haram al-Sharif – o il Nobile Santuario – è stato non solo al centro della lotta popolare in Palestina, ma anche delle politiche israeliane. Situato nella Città Vecchia di Gerusalemme Est occupata, il Santuario è considerato uno dei luoghi più sacri per i musulmani. Ha un posto speciale nell’Islam, poiché è stato menzionato nel Sacro Corano e frequentemente anche negli Hadith, i detti del profeta Mohammad

“Divisione temporale e spaziale”: perché l’epilogo di Israele alla moschea di al-Aqsa fallirà

 

Palestinechronicle.com/. Di Ramzy Baroud.  A partire dal 15 aprile, l’esercito di occupazione israeliano e la polizia hanno fatto irruzione quotidianamente nella moschea di al-Aqsa, nella Gerusalemme est occupata. Con la pretesa di fornire protezione alle “visite” provocatorie di migliaia di coloni ebrei israeliani, illegali e fanatici di destra, l’esercito israeliano ha ferito centinaia di palestinesi, inclusi giornalisti, e ne ha arrestati altre centinaia.

I palestinesi si rendono conto che per Israele gli attuali attacchi ad al-Aqsa hanno dei significati politici e strategici ben più profondi rispetto ai precedenti raid.

Al-Aqsa, in passato, ha subito incursioni di routine delle forze israeliane sotto varie forme. Tuttavia, la moschea ha acquisito sempre più importanza negli ultimi anni, soprattutto in seguito alla ribellione popolare palestinese, alle proteste di massa, agli scontri e alla guerra a Gaza, lo scorso maggio, che i palestinesi chiamano proprio simbolicamente ‘’Saif al-Quds’’, ovvero Operazione ‘’Spada di Gerusalemme’’.

Storicamente, l’Haram al-Sharif – o il Nobile Santuario – è stato non solo al centro della lotta popolare in Palestina, ma anche delle politiche israeliane. Situato nella Città Vecchia di Gerusalemme Est occupata, il Santuario è considerato uno dei luoghi più sacri per i musulmani. Ha un posto speciale nell’Islam, poiché è stato menzionato nel Sacro Corano e frequentemente anche negli Hadith, i detti del profeta Mohammad. Il complesso contiene diverse moschee storiche e 17 porte, insieme ad altri importanti siti islamici. Al-Aqsa è una di queste moschee.

Ma per i palestinesi al-Aqsa ha acquisito ulteriore importanza grazie all’occupazione israeliana che, nel corso degli anni, ha preso di mira moschee, chiese e altri luoghi santi palestinesi. Ad esempio, durante la guerra israeliana del 2014 contro la Striscia di Gaza assediata, il ministero palestinese delle Dotazioni e degli Affari religiosi aveva dichiarato che 203 moschee erano state danneggiate dalle bombe israeliane, di cui 73 completamente distrutte.

Pertanto i musulmani palestinesi, ma anche i cristiani, considerano al-Aqsa, il Santuario e altri siti musulmani e cristiani di Gerusalemme, una linea rossa che non deve essere superata da Israele. Generazione dopo generazione si sono mobilitati per proteggere i siti, anche se alcune volte non ci sono riusciti, come nel 1969 quando l’estremista ebreo australiano Denis Michael Rohan appiccò un incendio ad al-Aqsa.

Anche le recenti incursioni alla Moschea non si sono limitate a lesioni fisiche e all’arresto di massa dei fedeli. Il 15 aprile, il secondo venerdì di Ramadan, al-Aqsa ha subito molti danni: le famose vetrate della moschea sono state distrutte e molti mobili all’interno sono stati devastati.

Le incursioni sull’Haram al-Sharif stanno continuando, anche nel momento in cui scrivo questo articolo. Gli estremisti ebrei si sentono sempre più forti della protezione che stanno ricevendo dall’esercito israeliano, oltre che dall’assegno in bianco fornito loro da influenti politici israeliani. Molte delle incursioni sono spesso guidate da Itamar Ben-Gvir, membro di estrema destra della Knesset israeliana, dal politico del Likud Yehuda Glick e dall’ex ministro Uri Ariel.

Il primo ministro israeliano, Naftali Bennett, sta senza dubbio usando i raid contro al-Aqsa come uno strumento per tenere in riga il suo bacino elettorale di estrema destra e religioso, famoso per la sua indole piuttosto ribelle. Le improvvise dimissioni del 6 aprile di Idit Silman, membro del partito di destra Yamina, hanno reso Bennett ancora più disperato nel tentativo di dare vita a un’ulteriore litigiosa coalizione. Un tempo leader del Consiglio Yesha, organizzazione ombrello degli insediamenti illegali in Cisgiordania, Bennett è salito al potere con l’appoggio di vari fanatici religiosi, sia in Israele che nei Territori Palestinesi occupati. Perdere il sostegno dei coloni potrebbe semplicemente costargli il posto e la carriera.

Il comportamento di Bennett è coerente con quello dei precedenti leader israeliani, i quali intensificarono la violenza ad al-Aqsa come una fonte di distrazione dai veri problemi politici, come anche per potersi appellare a potenti frange elettorali israeliane, composte da estremisti religiosi e di destra. Nel settembre 2000, l’allora primo ministro israeliano Ariel Sharon fece irruzione nell’Haram al-Sharif con migliaia di soldati israeliani, poliziotti ed estremisti, tutti mossi dagli stessi ‘’ideali’’. Lo fece per provocare una reazione palestinese e per rovesciare il governo del suo acerrimo nemico Ehud Barak. Sharon ebbe successo, ma a caro prezzo, poiché la sua “visita” scatenò la Seconda Intifada palestinese durata cinque anni, nota anche come Intifada di al-Aqsa.

Nel 2017, migliaia di palestinesi protestarono contro la proposta israeliana di installare “telecamere di sicurezza” agli ingressi del sacro santuario. Tale misura fu anche il tentativo dell’ex primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu di placare i suoi sostenitori di destra. Ma le conseguenti proteste di massa a Gerusalemme, e la successiva unità palestinese che venne a crearsi all’epoca, costrinsero Israele ad annullare i suoi piani.

Questa volta, tuttavia, i palestinesi temono che Israele stia mirando a qualcosa di più che a delle semplici provocazioni. Israele prevede di “imporre una divisione temporale e spaziale della moschea di al-Aqsa”, secondo Adnan Ghaith, massimo rappresentante dell’Autorità Palestinese a Gerusalemme est. Questa particolare terminologia, “divisione temporale e spaziale”, è usata anche da molti palestinesi, poiché temono di assistere allo stesso scenario della moschea Ibrahimi a Hebron.

In seguito all’uccisione di 29 fedeli, nel 1994, per mano di un estremista ebreo israeliano, Baruch Goldstein, e alla successiva uccisione di molti altri palestinesi da parte dell’esercito israeliano presso la moschea Ibrahimi a Hebron (Al-Khalil), Israele divise la moschea. Venne assegnato uno spazio più ampio ai coloni ebrei, limitando l’accesso ai palestinesi, ai quali è consentito pregare in determinati orari, mentre in altri è vietato. Questo è esattamente ciò che i palestinesi intendono per ‘’divisione temporale e spaziale’’, un’idea che è stata al centro della strategia israeliana per molti anni.

Bennett, tuttavia, deve procedere con cautela. I palestinesi oggi sono più uniti che mai nella loro resistenza, oltre che più consapevoli dei disegni israeliani rispetto a qualsiasi altro momento del passato. Una componente importante di questa unità è la popolazione araba palestinese nella Palestina storica, che ora sta portando avanti un discorso politico simile a quello dei palestinesi a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme est. In effetti, molti dei difensori di al-Aqsa provengono proprio da queste comunità. Se Israele continua con le sue provocazioni contro l’Haram al-Sharif, rischia un’altra rivolta palestinese come quella di maggio, iniziata non a caso proprio a Gerusalemme est.

Fare appello agli elettori di destra attaccando, umiliando e provocando i palestinesi non è più un’attività così facile. Come ci ha insegnato la “Spada di Gerusalemme”, i palestinesi ora sono in grado di rispondere uniti e, nonostante i loro mezzi limitati, riescono anche a esercitare pressioni su Israele affinché modifichi le sue politiche. Bennett deve ricordarlo prima di avvallare altre provocazioni violente.

(Foto: migliaia di palestinesi si radunano a Gaza in solidarietà con i palestinesi alla moschea di al-Aqsa. Mahmoud Tajjour, The Palestine Chronicle).


Traduzione per InfoPal di G.B.

 

 

 

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